Luigi il Bottaio e il film “ La spiaggia”
di GianMarco Basadonne

….Luigi viveva la sua modesta “avventura” terrena alternandosi alla coltivazione della poca terra avuta in dote, ad altre attività e molteplici interessi; ai suoi tempi, per tutti pochi erano gli svaghi consentiti: occasionali visite alle cantine della contrada, le serate del sabato all'osteria per le tradizionali partite a tre sette. Stanchi delle carte fra le mani passavano alle chiacchiere imbevute di pettegolezzo o politica spicciola. Serate concluse immancabilmente da canti sguaiati.
Nel periodo venatorio,per molti, la caccia occupava il primo e unico svago giornaliero. Ricaricare le cartucce già utilizzate in precedenza, oliare il fucile, riordinare la cartucciera, era il compito serale, nell'intervallo fra la cena e l'andata a letto.
Luigi aveva un fisico possente e asciutto incuteva rispetto pur nei momenti trasandati. Nel tardo pomeriggio del sabato affilava sulla cinghia di cuoio il rasoio da barba. Insaponava i peli vecchi di sette giorni e ridava al volto l'aspetto curato che ancor più lo rendeva autoritario e credibile. Nella compagnia si distingueva per la moderazione nel bere vino. Lo sostituiva con qualche gassosa o limitandosi alla pura acqua del “sindaco”.
Al già vario panorama dei lavori agricoli, Luigi, alternava quello di “bottaio”, vera manna per il vicinato, alle prese con la sempre attuale lotta per la conservazione dei contenitori di cantina oltre al prepararli per l'annuale vinificazione della sospirata uva, da trasformare in vino: il fedele compagno, nonché energia e sostegno del contadino, sovente unico consolatore di frustrazioni ataviche. Rifugio gaudente nelle avversità. Assai spesso rovina famiglie.
Luigi “amava” le botti e gli altri attrezzi di cantina. Li trattava come dei propri figli. Vederlo piegare a suon di martellate le barre di ferro per sagomarle in cerchi era uno spettacolo. Mai una bestemmia!
Spesso il sudore bagnava il ferro. Le gocce cadendo cadenzavano i colpi di martello sull'incudine. Lentamente la barra prendeva forma. Diventava cerchio della misura voluta. La stessa sorte riservata alle assi, trasformate in doghe dalla pialla, poi assemblate e strette a martellate nella pancia del cerchio.

Basadonne Luigi classe 1910 “ il Bottaio” di Magnone lavorava nelle cantine a riparare le botti di legno.


Luigi aveva verso la sua terra un amore rispettoso e totale. Sapeva cogliere il meglio ad ogni occasione o stagione. Passava con la stessa fedeltà dalla cura alla vigna, agli olivi. Senza tralasciare il taglio del fieno o la potatura ai castagni o le piante di pesco, ciliegio, albicocche. La semina dei vari ortaggi, in particolare la scorzonera. Della terra non disdegnava alcun prodotto. La definiva tutta grazia di Dio, da apprezzare ogni giorno. In verità aveva un debole verso un tipo di piante: i fagioli. Una preferenza particolare per i fagiolini verdi di qualità “pelandroni”. Una vera mania confessata a pochi!
Vi era la parte dolorosa: rinunciare a mangiarli per portarli a Spotorno, dalla “Rossa”, sempre lieta di accoglierli. Pagandoli al prezzo da lei stabilito e rivendendoli con lauto guadagno.
Come in uso ormai da parecchi anni Il “Nani della Serra” aveva contattato per tempo Luigi il “Bottaio” e concordato l'intervento, liberato il locale al pianterreno a Prelo, messo a disposizione le botti da restaurare: il “busetto” e il “vermentino” promettevano buona vendemmia e quindi fissata la data della discesa dell'artigiano verso il paese marino.
Il lavoro richiedeva alcuni giorni di sosta a Spotorno per cui il figlio doveva sostituirlo nei lavori di campagna.
Questi aveva giusto riempito un cesto sino all'orlo dei fagiolini vecchi di due giorni, gli ultimi ancora umidi di rugiada, quando “Silvio” - che aveva caricato il carro di legna, tagliata a misura pronta per essere accatastata per l'inverno - lo chiamò perché aveva bisogno di un aiuto per frenare il carro lungo la discesa, dato che doveva consegnarla a Spotorno quel pomeriggio.
“Ho bisogno di te nel pomeriggio. Scendo a Spotorno con il carro. Puoi venire? Saremo di ritorno prima di notte!” Il ragazzo restò titubante. “Ho da portare giù i fagioli al negozio. Mio padre sa che devo scendere. Informo la madre dell'aiuto. Mi libero del peso. Due piccioni con una fava!”
La vacca non si chiese il perché della doppia razione di erba e acqua. Mangiò a sazietà e bevette il giusto. Era abituata al doppio impegno: dare il latte e tirare il carro a giorni alterni.
Un comune conoscente informò Luigi del viaggio, anticipando che il ragazzo avrebbe seguito il carro per manovrare la “martinicca” lungo la discesa verso Spotorno. La pialla scorreva veloce sulle doghe. I pensieri concentrati sui “pelandroni” in viaggio. Il sudore inumidiva la fronte del bottaio come la rugiada le larghe foglie delle piante predilette.
La piccola carovana aveva superato Tosse e si prospettava la piana di “Veni”: altre legnate sulla groppa dell'animale, condite da bestemmie sempre più scurrili, il tratto di piano fu superato con rinnovata difficoltà, ma ecco la nuova discesa consentì all'animale di riprendere il ritmo degli zoccoli. Le “litanie” di Silvio furono sostituite dal canto delle cicale al sole con il loro gri gri.
Giunti alcune curve sopra il cimitero, dove la strada conosce un tratto dritto, la sorpresa: in lontananza un nugolo di persone si muoveva in disordine, destando nei due viaggiatori sconcerto e timore. Un tizio dal fare deciso dominava il centro della strada. Il ragazzo agì sui freni. Il carro rallentò sino a fermarsi. L'animale osservava torvo l'assembramento di persone e macchine che ostruiva il passaggio, mentre i due carrettieri colti di sorpresa non sapevano che pesci pigliare. L'uomo si avvicinò al carro, il suo sguardo non ammetteva repliche. I due poveri “paesani”, già timorosi per natura, al cospetto di tanta prestanza fisica ed eleganza non ebbero l'ardire di protestare. La vacca ormai ferma rizzò il pelo, liberò un suo bisogno fisiologico. Silvio depose la verga sul carro con fare imbarazzato. Il ragazzo azionò con forza la “martinicca” bloccando le ruote. Il virgulto al centro della strada sciorinò un sorriso a trentasei denti. Con sussiego spiegò la situazione, il motivo di quelle persone agitate, strani macchinari, vetture accidentate e blocco della strada. Il suo accento meridionale, non del tutto comprensibile, musicò la semplice frase:
“Stanno girando le scene di un film. Per almeno due ore non si può circolare, riposatevi! Potete assistere alle riprese. Non temete. La scena dell'incidente è costruita a proposito, è una simulazione, non spaventatevi, restate fermi e in silenzio.”
Le due ore successive un vero divertimento! Alcune persone ripetevano le stesse movenze. Le vetture tirate in disparte e nuovamente fatte scontrare fra loro. In molti si agitavano frenetici. Un tizio con un cartello in mano mostrava dei numeri. Un altro urlava dentro ad un grosso imbuto di lamiera. Una banda di pazzi assatanati che gesticolavano senza ordine, non lontano dagli occhi di Silvio e il ragazzo, desiderosi di terminare il viaggio al più presto, pur divertiti da quello scompiglio creato ad arte, per loro incomprensibile e grottesco. Il tempo trascorreva lento intercalato da grida e risate del gruppo.
A Luigi era giunta voce dell'incidente avvenuto lungo la strada. Sapendo del viaggio del figlio e non vedendolo arrivare, iniziò a preoccuparsi. La pialla divenne pesante. Il sudore aumentò. In ballo, oltre al ragazzo, vi erano i “pelandroni”! Sospese il lavoro. Inforcò la fida bicicletta e si avviò sulla strada per Tosse, quando scorse i due seduti sul carro, sani e rilassati, girovagò incuriosito in prossimità delle macchine da ripresa confondendosi fra i presenti. Poi tornò al suo lavoro.
Nelle settimane seguenti si seppe che le scene del finto incidente erano parte di quel film che aveva per titolo “La spiaggia” con fra gli altri interpreti Raf Vallone e una splendida signora, Martine Carol , attrice molto nota a quel tempo.


Silvio portò la notizia al paese, divenendo il centro di tante domande senza risposta. Il ragazzo più volte invitato a confermare gli avvenimenti non riusciva a collegare i diversi passaggi osservati, da quando aveva iniziato a rubare al padre le sigarette e ad “oliarsi” i capelli di brillantina Linetti, si sentiva uomo maturo, poteva permettersi di bestemmiare e giocare a bocce coi soliti praticanti del paese.
Per molti anni ancora il tempo sembrò legato al passato: Silvio continuò imperterrito a distribuire randellate alle sue successive vacche riottose al giogo, Luigi continuò per altri anni a martellare le verghe di ferro e a piallare doghe; poi la pialla divenne pesante più del martello, le botti d'acciaio o resina sostituirono quelle di rovere o castagno.
Il “Bottaio” si adeguò ai tempi e si lasciò nuovi spazi da dedicare alla visione della televisione portando fra i ricordi la scena del film “La spiaggia”, vissuta in diretta.
Il ragazzo, come le rondini a primavera, volò altrove. Iniziando un eremitaggio senza sosta, tutt'ora in corso. Condito dalla ricerca della felicità e del successo, miraggi sempre più evanescenti nel caotico mondo attuale.