L' EREMO DI SANT' ANTONIO
di Giuliano Cerutti
Spotomo possiede, quasi a sua insaputa, un angolo molto suggestivo e pittoresco, trascurato dai depliants, dalle guide turistiche e minimamente inflazionato da immagini fotografiche.
E' l'antico eremo di Sant'Antonio, una minuscola costruzione, preziosa gemma incastonata nella colorata parete rocciosa posta al termirre di Via Vecchie Fornaci, prima dell'ex galleria ferroviaria: tutta la zona si è appropriata del toponimo di Sant'Antonio.

Le cronache storiografiche fanno risalire questa dimora solitaria al secolo medioevo, quale luogo meditativo di un monaco eremita.
Ma a quale ordine apparteneva questo monaco? Non si tratta certamente del protettore di Padova, religioso portoghese (1195-1231) oratore e taumaturgo.
Propendiamo per qual Sant' Antonio, abate egiziano (250ca.-356), che visse da eremita nel deserto, che fu ritenuto il guaritore del "fuoco di Sant'Antonio" e protettore degli animali domestici; rappresentato con il bastone da eremita, il porco (incarnazione del diavolo), il campanello e la fiamma.
Si presume che un seguace dell'eremita egiziano, alcuni secoli dopo, si sia ritirato nel eremo di Spotorno.
Questa convinzione si allaccia al filo sottile che lega il Sant'Antonio (l'egiziano) dell'eremo, a quello che viene venerato nell'oratorio di Santa Caterina da moltissimo tempo, il 17 Gennaio.
Di questo angolo appartato e dell'eremo diroccato ne trae una fantastica visione acquerellata la pittrice Aurèlie del'Epinois nel 1885, inserita con altre vedute della Liguria, nel volume "Da Nizza a Genova. Impressioni di viaggio. Gli acquerelli del'Epinois", edito dall'Istituto Internazionale di Studi Liguri di Bordighera (1992)
Invece lo scrittore savonese Anton Giulio Barrili dedica nel suo romanzo "Fra cielo e terra", due pagine dal titolo "L'acqua novella".
E' il ricordo di una passeggiata con I'amico spotornese Prof. Francesco Berlingieri, lungo la strada della Maremma dove coglie l'essenza del rifugio di Sant'Antonio e immagina di prendere il posto dell'antico anacoreta, con queste parole: "... gaudente io della felicità intellettuale ... dimenticando tutto l'altro dello spazio e del tempo, ignorando l'ora degli altri, aspettando Ia mia senza troppo curarmene."
Poco prima aveva visto lungo la strada, sopra il terrazzo di una casa verde alla Maremma, un'antica meridiana e una frase latina che ammoniva il passante, "Ultima necat" ( L'ultima ora uccide).
E prima ancora aveva pensato che "... I'uomo più felice della terra debba essere un certo guardiano della strada ferrata, che ha il suo casotto in quelle vicinanze, col suo orticello, i suoi fagioli e il suo gran fìco brogiotto, accanto allo sbocco della galleria di Bergeggi".
Il Barrili si immedesima in quest'uomo con parole di comprensione e di tenerezza. Scrive: "Poveraccio! e torse egli sogna a sua volta un trasloco, una promozione, che lo sbalzi guardia eccentrica o guardia di sala in qualche stazione importante, donde gli sia facile di mandare a scuola le quattro o cinque creaturine che senza fatica, quasi senza un pensiero al mondo, gli sono rampollate là dentro..."
In poche righe il Barrili ci invita a riflettere e a godere della bellezza di un luogo incantevole che offre all'attento passante una pausa di riflessione per rinnovare lo spirito contaminato dal "bla, bla" di tutti i giorni.
Giuliano Cerutti