Gli anni della seconda guerra mondiale
Per un sacco di farina!

di Caterina Maglio Fissi

Anche le piante sembravano patire i mali della guerra che ormai da tempo impoveriva e incattiviva le persone. Quell’anno la “stagione” delle albicocche fu scarsa: il ricavato della loro vendita era la voce più consistente del nostro bilancio famigliare e garantiva, pur nelle ristrettezze, un pasto nei mesi invernali.



Come già facevano altri spotornesi anche noi per la prima volta decidemmo di andare nelle terre padane per fare scorta di viveri e risparmiare. Messo il poco ricavato di quella stagione di albicocche in tasche appositamente cucite e nascoste all’interno degli indumenti più intimi, mia madre ed io partimmo.
Eravamo con altre quattro spotornesi, già esperte di tali viaggi. Con il treno arrivammo sino a Voghera e da lì proseguimmo a piedi per Casteggio, Torrazza Coste, … da una cascinale all’altro cercando di acquistare farina, polenta, riso. Ricordo di una notte passata nella parte superiore di un fienile nel quale sostò, sotto di noi, una ronda di camicie nere. Quasi non respiravamo per evitare qualsiasi minimo rumore e non rischiare di essere scoperte. Era solo l’inizio dell’incubo.
Cariche di due sacchi ciascuna, mia madre ed io, sempre a piedi tornammo alla stazione di Voghera. I genovesi, molti erano uomini, carichi all’inverosimile e altrettanto prepotenti, gettando i loro sacchi a terra fecero crollare la vetrata della stazione. Intervenne la polizia o chi per essa e nel tafferuglio che ne seguì ci trovammo tutti all’esterno sui binari: gli uomini in parte volatilizzati per paura di retate e lì affrontammo la sera e poi la notte in attesa di un treno. Non ricordo bene se arrivò nelle prime ore della notte o all’alba successiva. Fu preso d’assalto. Si saliva con ogni mezzo, dai finestrini si gettavano dentro i sacchi. Io, piccola di statura e di poco peso, fui sistemata sopra una montagna di sacchi di farina, polenta,…. quasi a toccare il soffitto del vagone. Viaggio interminabile, numerose soste, paura dei bombardamenti ma la mia testa man mano che il tempo passava riusciva a stare più diritta, sempre più diritta e comoda. Si, troppo diritta e comoda!
I genovesi ci rubavano i sacchi sfilandoli dalla base del mucchio…!
Come Dio volle arrivammo a Genova, attesa e nuovo assalto al primo treno per Savona. Il viaggio, però, finì irrimediabilmente ad Albisola: era stata bombardata la galleria. Eravamo nel ’44.
Da lì a piedi con il nostro prezioso carico sistemato su un carretto di fortuna in qualche modo rimediato da una delle quattro spotornesi che erano con noi, arrivammo a Savona.
Io e mia madre, dopo aver lasciato presso una signora savonese di nostra conoscenza 2 dei 4 sacchetti che avevamo comprato, proseguimmo sempre a piedi verso Spotorno trasportando sulla testa un sacco ciascuna. Ci faceva compagnia la paura dei bombardamenti, la paura di essere derubate dopo tanta fatica ma ancor più il terrore di essere fermate dai tedeschi che presidiavano le fortificazioni a difesa della costa, le numerose casamatte lungo l’Aurelia a Porto Vado (in parte ancora visibili sino ad alcuni anni fa). Appena ci vedevano arrivare, i soldati ci venivano incontro, ci fermavano, parlavano in tedesco, non capivamo niente, ma capivamo immediatamente quando ci facevano segno di proseguire. Forse due donne sfinite dalla fatica facevano loro pena!
Appena arrivate a casa dormimmo e dormimmo, non so per quanto.
Il viaggio era durato 4 giorni, fu il primo ma anche l’ultimo.
Dopo di allora piantammo tutto l’orto a patate e per il resto della guerra quello fu il nostro pasto sicuro e quasi quotidiano.

Caterina Maglio Fissi