Gli anni della seconda guerra mondiale
Quando a Spotorno si faceva il sale

di Caterina Maglio Fissi

Con la tessera annonaria tutto era razionato ma per alcune cose si riusciva a sopperire con il ”fai da te”. Una di queste era il sale.


Il problema più gravoso era reperire la giusta quantità di legna e ciò richiedeva anche diverse giornate di lavoro. Erano sempre le domeniche, unica giornata libera della settimana perché allora lavoravo in posta. Al mattino presto mia madre ed io imboccavamo Salita dei Frati, passavamo davanti Villa Inglese e quindi su, su nel bosco a cercar legna.

    AnnaMaria"Marinetta" Rosa

La migliore era quella delle “pinolle” perché resinosa e facile a bruciare. Tronchi grandi, piccoli, ramaglie e qualsiasi altro elemento legnoso erano ordinatamente ammonticchiati e legati in “fascine”: quando ce ne era un buon numero, si incominciava a raccoglierle portandole verso il basso. Questo percorso non doveva essere eccessivamente lungo per non stancarsi oltremisura nella risalita. E così una fascina dopo l’altra, avanti e indietro, si formava la prima catasta. Da qui, di nuovo fascina per fascina si faceva un altro tratto di strada verso il basso, si faceva una altra catasta e così via: ciò permetteva di avvicinarci sempre più verso l’abitato, avere sotto controllo tutto il raccolto della giornata e non essere sorprese dal buio nel bosco. Quando si arrivava a Villa Inglese dove abitava la Lalla Giulla (Angela Rosa), sorella di mia madre, ci era permesso depositare le nostre fascine per il tempo necessario ad ammassarne la giusta quantità per poter fare il sale.
Nei giorni precedenti la “domenica del sale” le fascine da Villa Inglese erano portate nella nostra cucina o nelle sue immediate vicinanze e intanto riempivamo damigiane e contenitori con acqua di mare.
La domenica fatidica iniziava con il riempire con l’acqua di mare, raccolta in precedenza, un recipiente di lamiera zincata, appositamente modellato sulla misura del nostro focolare (di lato circa un metro), e accendere il fuoco. Ricordo che la canna fumaria “tirava” che era una meraviglia.
La potenza del fuoco doveva essere tale da garantire l’evaporazione costante dell’acqua e mentre mia madre stava in casa per controllare il fuoco, io facevo la spola avanti e indietro dalla spiaggia per portare altra acqua da aggiungere a quella evaporata. Per fortuna abitavamo vicino alla riva, in Vico Paoli, e dove ora ci sono i giardini pubblici, la passeggiata a mare, condominii e automobili in transito o in parcheggio….. allora c’erano solo orti.
L’operazione andava avanti per tutta la giornata ma alla fine era una soddisfazione vedere una strato bianchissimo di sale sul fondo del contenitore.
Era di un bianco quasi abbagliante!
Veniva raccolto con cura e messo in arbanelle. Non ricordo di preciso quanto se ne producesse ma eravamo sul chilo o poco più.

Caterina Maglio Fissi