Aria di altri tempi:
il più vecchio negozio spotornese
di Giulia Fissi

Un negozio che nulla ha da invidiare ai più blasonati esercizi commerciali riconosciuti come storici è il negozio di via Manin, nel centro storico di Spotorno, oggi conosciuto semplicemente come il “Consorzio”, dove ancora si possono trovare prodotti ”sfusi”, a volte un po’ di “nicchia”.
La struttura architettonica dei locali, l’arredamento nonché la sobria gentilezza, tipicamente ligure, della proprietaria sono memoria storica e testimonianza viva della trasformazione di Spotorno da paese ad economia agricola con ampi spazi coltivati a paese turistico-alberghiero e industriale con un territorio ormai in massima parte costruito.
Racconta la attuale proprietaria, figlia del fondatore, che il negozio fu aperto negli anni ’20 del secolo scorso per volontà del padre come Consorzio Agrario con annessa Agenzia per pratiche agrarie. Era ubicato sul lato opposto della via in una costruzione che, in base al suo ricordo di bambina, era un grande e lungo capannone circondato dagli orti che allora occupavano tutto il pianoro spotornese alle spalle del borgo marinaro, una lunga fila di case parallele alla linea di costa. Solo nel 1934 venne trasferito nell’attuale edificio costruito con specifica destinazione d’uso ed era cosi come oggi lo vediamo: un ampio e luminoso locale di vendita con retrostante magazzino. Anche gli infissi esterni e interni e l’arredo interno sono rimasti immutati nel tempo sia nella forma e disposizione sia nel colore della verniciatura in smalto marrone: porta a due ante con vetri nella parte alta, maniglia senza grosse pretese, ganci per agganciare gli “scuri” ai vetri ad ogni chiusura, vetrina poco distante con le medesime caratteristiche, lungo banco di vendita in legno con frontone decorato a cassettoni coperto da una altrettanto lunga lastra in marmo grigio e scaffalature con montanti sapientemente torniti in tutta la loro altezza.

E’ questo ciò che fu fatto nel 1934 e che esiste ancora oggi, più di 80 anni dopo: le “scansie” (casse), presenti nella parte bassa delle scaffalature e necessarie per contenere i prodotti sfusi, ne sono una palese conferma. Il tutto continua a essere funzionale all’uso cui era ed è ancora destinato, lineare e insieme elegante, conservato con una verniciatura sempre impeccabile.
“Allora si vendevano -continuano i ricordi della proprietaria- molti prodotti per l’agricoltura e per gli animali: concimi, patate da semina, piccole attrezzature per i lavori agricoli, insetticidi, paglia, fieno, biada, granone, sementi, …. I prodotti arrivavano con il treno e il trasporto dalla stazione al nostro magazzino era fatto da Giuanin “S-ciapparave” con il carro tirato dal cavallo. Quando arrivava paglia e fieno i viaggi erano numerosi considerata la capienza del carro e il magazzino era riempito all’inverosimile. Ma già dal giorno dopo i viaggi erano altrettanto numerosi dal magazzino alle destinazioni dei vari acquirenti.
In quegli anni Via Manin era un punto vitale per Spotorno: erano sorte nel frattempo altre costruzioni e altri esercizi commerciali. Accanto a noi da un lato il negozio di commestibili della “Melinda”, dall’altro la rivendita di laterizi di Oddera e poi “l’ostaia” -oggi diremmo bar- di Noè, la latteria, il barbiere e, in tempi successivi, anche il fabbro e un’esposizione di mobili della ditta Bugna di Vado L. Era una via trafficata da carri con cavallo, carretti e carriole tirati a mano e poi dai primi motocarri e autocarri. Metteva in comunicazione “u pàize” con “u munte”, la parte di Spotorno a monte della ferrovia, che allora passava parallela all’attuale via Berninzoni, e i paesi dell’entroterra.
Quando le sbarre del passaggio a livello erano abbassate si formavano veri e propri ingorghi.
Dopo lo spostamento della ferrovia, avvenuta negli anni ’70, e la chiusura della via conseguente alla costruzione della cosiddetta circonvallazione, gli ingorghi di traffico non ci sono più stati ma la vitalità della strada è stata molto ridimensionata.”
Nonostante quest’ultima nota un po’ amara e un momento di pausa, i ricordi riprendono.
“Naturalmente si vendevano anche prodotti per l’alimentazione umana e per la pulizia della casa e della persona, molti venduti ancora oggi. Per lavare i piatti allora si utilizzava la soda a cristalli e non erano di moda i guanti! Negli anni quaranta e ancora nel dopoguerra si vendeva il caffè da tostare: ancora ricordo mia mamma che nel cortiletto interno passava ore a tostare il caffe girando la manovella di una speciale ”padella” forata destinata allo scopo.”
I tempi di questi ricordi sembrano lontanissimi nel tempo: nella realtà sono lontani solo qualche decennio e sono ancora vivi nella memoria di molti spotornesi anche se il paese è radicalmente cambiato.
Il negozio indicato dalla gente come “Consorzio” si è adeguato ai tempi trattando nuovi prodotti accanto ai tradizionali e abbandonandone altri ma ha saputo mantenere la sua originaria fisionomia. Ancora oggi accostati alla parete di fronte al banco di vendita sono allineati sacchi di riso di diverse cultivar, semola, farine “zero” e “doppio zero”, polenta bramata e fioretto, …..; alla parete destra al posto dei sacchi di sementi e granaglie di un tempo sono allineati sacchi di legumi secchi dai piselli ai ceci, dai fagioli rossi alle fagiolane, mentre dalla parte opposta i sacchi di grano, granone, crusca, cruschello, biada, …. hanno ceduto il posto a prodotti preconfezionati, dalla pasta ai detersivi, dagli alimenti per cani e gatti alle scope. Anche la scaffalatura alle spalle del banco di vendita è occupata da prodotti parzialmente diversi da quelli di ieri. Forse soltanto i panetti del sapone da bucato ben ammonticchiati a mo’ di piramide occupano il posto di un tempo.
Certo, oggi, come rivela una vecchia fotografia gelosamente custodita dalla proprietaria, mancano le macchine per il verderame allineate sull’ultimo piano della scaffalatura e le bollette da pagare infilzate su un chiodo piantato in un montante, sul banco mancano le due bilance a piatto delle quali quella destinata alla pesatura delle sementi con i suoi piccoli e lucidi pesi in ottone, dai 10 grammi al chilo, era una gioia il solo guardarla!
Ma, nonostante tali mancanze, varcare la soglia della stretta porta è sempre un piacere per le sensazioni di vicinanza a un mondo contadino ormai perduto, almeno a Spotorno, e per i ricordi sopiti che tornano a galla nei meno giovani. Riemerge la visione di quando si comprava farina o altro nella giusta quantità prevista per una certa ricetta e di come la quantità prelevata, con un vigoroso e sicuro movimento della “sassua” (paletta in metallo usata ancora oggi e ben visibile sul banco), corrispondesse spesso alla richiesta con precisione al grammo, e poi fasciata nella grigia carta “strassa” o “grisetta” oppure nella azzurrina carta da “succo” con uno stretto intreccio fatto da sapiente e velocissimo movimento delle dita che faceva sembrare il pacchetto come contornato da una ghirlanda.
Ancora oggi una pila di carta simile a quella di un tempo è sul banco di vendita, ma l’utilizzo quasi generalizzato dei più funzionali sacchetti di nylon ha cancellato la poesia di quei pacchi e tuttavia, indipendentemente dall’avere o meno dei ricordi, l’entrare nel negozio del “Consorzio”, osservarne i prodotti che occhieggiano dai sacchi aperti e percepirne i deboli profumi, suscita sempre sensazioni di curiosità mista al desiderio di conoscere saperi e sapori di un tempo.
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