Il Leone di Spotorno
di Giuliano Cerutti

Avevamo un eroe della grande guerra 1915/1918 e non lo sapevamo. Era il nostro concittadino Domenico Calcagno nato ad Arenzano nel 1892.
Si trasferisce in giovane età con la famiglia a Spotorno, dove si sposa nel 1933 con Caterina Rosa e muore nel 1938.

Domenico Calcagno
La crocerossina Elisa Majer Rizzioli dedica un capitolo intitolato “Leone è partito" nel suo libro “Fratelli e Sorelle” edito dalla Libreria Editrice Milanese nel 1919

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Questa donna ricca, aristocratica, nata a Venezia nel 1880 e deceduta nel 1930, aveva 31 anni quando vesti per la prima volta il velo e l' uniforme bianca con la croce rossa sul petto.
Sposata con il notaio Nicola Rizzioli da sette anni, si imbarco al 20 ottobre 1911 con 24 infermiere sulla motonave "Memfi" in aiuto ai soldati italiani che combattevano in Libia. Scrisse un libro di memorie di quella esperienza femminile intitolato “Accanto agli eroi. Crociera sulla Memfi durante la conquista di Libia”, pubblicato nel 1915, con l' intento di sostenere le volontarie della Croce Rossa chiamate alla prova nella Grande Guerra. Come crocerossina infermiera passa quattro anni da un ospedale all 'altro dove incontra il "Leone di Spotorno". La sua è una esperienza tremenda: curai feriti nel dolore, allevia il morale dei ricoverati, vede morire tanti giovani, e tutti dà una parola buona, instancabile.
Scoppiata la guerra organizzò un Comitato di Soccorso per le famiglie dei soldati bisognosi, fu Segretaria del Comitato di Assistenza Civile di Venezia, fondò e diresse l' Associazione delle Legionarie di Fiume e Dalmazia. Finita la guerra, non perde tempo, quale donna con molta esperienza nel 1920 si iscrive al Partito Fascista, e inizia così la carriera di “gregaria fascista” come amava definirsi. Collabora al giornale “il Popolo d' Italia”, partecipa come infermiera alla Marcia su Roma, è nominata Ispettrice Generale dei Fasci Femminili. Credeva all' autonomia decisionale del fascismo femminile. Si scontrò quasi subito colla componente nazionalistica del Partito Fascista. in sostanza la Rizzioli credeva di poter dar prova, come gli uomini, di disciplina interiore e di non essere solo “vestali". Ma anche allora il femminismo non era ben visto: fu minacciata dalla componente maschile del partito. Nel 1925, la “gregaria fascista” scrive a Mussolini che “il Nazionalismo e la Massoneria sono più forti di me” ribadendo l' importanza del voto femminile. Non è più sorretta dal partito, la rivista da lei diretta si avviava al tramonto.
Nel 1930 Elisa Mayer Rizzioli moriva delusa e amareggiata.
Ma ora parliamo un po del nostro protagonista Domenico Calcagno detto “Leone". Venne chiamato dalla Patria ad assolvere il servizio di leva nel settembre 1912 e inquadrato nel I° reggimento alpini battaglione Pieve di Teco, imbarcato a Genova per la Tripolitania nel dicembre dello stesso anno viene trasferito nell' ottobre 2013 al IV° reggimento alpini battaglione Ivrea, Rientrato a Napoli nell 'agosto 2014 ritorna alla Pieve di Teco, trattenuto alle armi viene inviato in territorio di guerra nel maggio 2015 e nell 'aprile del 1916 viene trasferito al VII° reggimento alpini battaglione Belluno e inviato sul massiccio delle Tofane (vicino a Cortina D' Ampezzo), il 7 giugno 1916 mentre il suo battaglione sta preparando l' attacco al monte Castelletto venne ferito gravemente da una scheggia di granata al fianco sinistro

Foglio Matricolare

Conciato in questa maniera, rimase tre mesi e otto giorni ricoverato. Venne operato immediatamente e liberato dalla scheggia, applicando un gran tubo di drenaggio, spinto profondamente lungo la colonna vertebrale, che non cessava di generare pus. Così lo descrive la crocerossina-infermiera Elisa Mayer Rizzioli: “...|e sue condizioni erano allarmanti...la gravità della sua ferita e la necessità di non smuoverlo, lo lasciammo per un mese senza camicia, ciò che serviva a dirgli la facezia che più lo faceva ridere: di tutto l' ospedale Leone è l' ammalato più povero, tant 'è vero che è senza camicia! In compenso emergeva dal letto con le rotonde spalle nude e l' attaccatura del quadro del petto ignudo e aveva una tale espressione di salute e di robustezza che proprio per questo noi infermiere gli mettemmo il soprannome di Leone." Però si trattava di un leone prigioniero, costretto all 'immobilità, dilaniato da mille dolori - dice ancora la Rizzioli - quanto era buono Leone, come sopportava stoicamente le sofferenze. “Verso mezzanotte veniva sempre a salutarlo il suo capitano e gli portava parole di conforto. Bastava questo, una parola, un gesto a dargli aiuto e superare i momenti più neri “. A Domenico Calcagno, chiamato "Leone", venne affibbiato dal chirurgo un nuovo nomignolo, affettuoso e confidenziale, lo chiamò anche “l'uccellin bel verde".
Scrive la Rizzioli: “...una penosissima mezz 'ora che non si sapeva come guardarlo, neanche toccarlo, e la medicazione bisognava pure farla...cercavamo di distrarlo...una di noi gli teneva la testa stretta e voltata perché non vedesse il laghetto di pus che colava dal tubo di drenaggio, non appena era liberato dalla garza, putrida anch' essa...”
Un altro nomignolo gli venne dato: quello di "serpente” non appena fu in grado di muoversi in tutti i modi. Ma a poco a poco più pensoso e desideroso del suo orto, laggiù nel sole, a Spotorno. Diceva: "Ah! Se potessi mangiare dei miei cavoli e delle mie carote, non se ne possono trovare di migliori: e ciò di tutto nel mio orto”. Poiché stava meglio venne anche l' ora e il giorno della partenza dall 'ospedale.
"È un dispiacere lasciarci, vero? “disse la crocerossina Rizzi oli. E lui rispose: "...anche dividendoci ci ricorderemo e ci vorremmo bene". “È più facile mantenersi buoni quando si vuole bene a tanta gente, vero”? All' ultimo momento egli osò dire la grande cosa che non aveva mai saputo sprigionare dal suo cuore umile: “lo voglio bene alla terra, signora, ed anche a lei”. "Anch' io a voi, Leone”, lei rispose. Addio, addio e l' ambulanza spari. Domenico Calcagno detto Leone, scrive ancora una lettera alla “cara signora infermiera” e dice "Addio Spotomo, addio orto, vado dove mi mandano” Il 28 ottobre 1917| l' avevano fatto abile ai lavori sedentari e messo ai forni militari della Carnia a fare il pane. Giunse a Tolmezzo e anche li vide morti e feriti e concluse: “Ma io non vorrei essere nato piuttosto che vedere quello che ho visto...combatterò come un Leone per meritarmi quel nome che sempre mi chiamava lei. Coi più profondi saluti suo Domenico Calcagno.”
Fini la guerra e non si parlò più di Domenico Calcagno se non che ci pensò Alberto Lumbroso, il quale scrisse sul “Giornale di Genova” n 24 settembre 1932, un articolo intitolato “Il Leone di Spotorno". Per caso un caro amico lo trovò sfogliando quel giornale e me lo diede. Il giornalista Lumbroso scrisse il lungo articolo perché colpito dal libro della Elisa Majer Rizzioli e in particolare dal capitolo “il Leone è partito” e lo titolò “il Leone di Spotorno”.

di Alberto Lumbroso

A memoria d' uomo non si sentì parlare, qui a Spotorno, di Domenico Calcagno detto il “Leone”, nomignolo affettuoso che gli aveva dato una crocerossina, ma questo soldato aveva dato il suo sangue e gli anni più belli della sua gioventù, alla Patria: era un vero eroe. Peccato che altri eroi, più o meno importanti, sono oggi ricordati, e lui no. Dedico queste righe alle famiglie Calcagno, nipoti e pronipoti del "Leone".

Giuliano Cerutti