Il “Pippo”
di GianMarco Basadonne
….”Che il “Pippo” fosse un rompipalle lo pensavano tutti. Gli uomini anziani e sboccati usavano un altro termine per definire il loro pensiero e le bravate del “Pippo”. Le donne annuivano in silenzio col capo, condividevano quanto detto. Lui, il Pippo, si presentava con indifferenza di notte o di giorno, alle ore più impensate. Ronzava in cielo simile ad un grosso calabrone infuriato. Di conseguenza al suo apparire, di sera o nella notte, ogni fuoco o tipo di luce veniva spenta. Di giorno la reazione era diversa: si chiudevano porte e finestre, mentre chi era all'aperto cercava di mimetizzarsi al meglio fra cespugli o semplicemente stendendosi a terra fra il seminato o vicino ai muri di sostegno. Ormai tutti avevano fatto l'orecchio al suo “miagolio” in cielo, sia che fosse sereno o nuvolo. Il Pippo era un aereo ricognitore idoneo a rilevare movimenti o assembramenti sospetti in un determinato territorio. I bene informati sostenevano che avesse occhi magici, capaci di avvistare ogni minimo movimento, volando ad una altezza media. “Quello è americano! Lui è un vigliacco, non partecipa ad azioni belliche. Fotografa e segnala i movimenti, poi vengono gli altri a sganciare i “salami”, a fare il lavoro sporco.” Questi ed altri i discorsi della poca gente rimasta nel paese.
I tedeschi in progressivo ripiego verso il nord provavano in ogni modo a “bonificare” il territorio per la ritirata in corso, cercando di sconfiggere le bande partigiane, ancora poco organizzate e la parte di esercito unitosi ai liberatori. Per contro gli alleati (americani, inglesi ed altri) mettevano in atto incursioni aeree per colpire, indebolire e scoraggiare il nemico, ben appostato sulle alture rivierasche, con postazioni di cannoni contraerei o navali. Sul monte, sopra San Giacomo, vi era un faro potente. Col buio si vedeva il suo raggio che illuminava il cielo. Il Pippo controllava, fungeva da spia, osservava dall'alto i movimenti terrestri di mezzi o truppe. Segnalava ai comandi incaricati le novità scrutate sul terreno.
Questa è stata “guerra in movimento” non come la precedente del '15-'18 combattuta in trincea. Dapprima l'occupazione di alcuni stati (Francia, Grecia, Cecoslovacchia, Albania, ecc.). Col voltafaccia dei capi nazionali il fronte si spostò lungo la nostra penisola. Da invasori passammo ad essere invasi, sotto il controllo tedesco.
La pressione dei bombardamenti aerei degli alleati si andava intensificando ogni giorno di più. Radio scarpa segnalava la recrudescenza degli interventi in zone ritenute strategiche. Alle sempre più annunciate incursioni gli anziani rimasti provvidero a sistemare un riparo fatto di tronchi di pino appoggiati in modo obliquo ad una parete a strapiombo, ricoprendoli con zolle e rami a protezione degli abitanti della frazione di Magnone inferiore. Ricordo benissimo: al primo ronzio del Pippo e ai laceranti ululati della sirena, provenienti da sopra Noli, tutti nel rifugio. Le soste continuavano sino al successivo segnale di cessato pericolo. Talvolta duravano mezze giornate o notti intere. Non si può immaginare il freddo! Ci si scaldava stando vicini. Il cibo scarseggiava. Spesso si mangiavano soltanto patate cotte nella cenere. Ne conservo ancora il sapore fragrante nonostante non vi fosse neanche un solo grano di sale, per non nominare l'olio. Ecco la forza dell'appetito!
Con l'intensificarsi delle incursioni aeree il precario rifugio non garantiva sicurezza. Quasi tutti ci si trasferì nelle grotte di “Punci”. In quel sito naturale che si addentra nella roccia viveva gente di Magnone, Spotorno, Tosse, Noli e altri paesi. Un vero “carnaio” poco ospitale. Dove ad imperare erano la miseria e la paura. Di quel posto ho molti ricordi, ne cito alcuni soltanto:
- il furto di un paio di sandali di stoffa con suola di gomma di color blu per i quali ho pianto giorni interi. Non bastarono le “cocolle” di zia Teresa a consolarmi.
- La venuta del macellaio “Cianfrognin” con quei pezzi di carne che strappavano l'acquolina dalle ghiandole a molti, me compreso. Mio nonno acquistò un pezzo di gamba per fare il brodo. Il solo “profumo” riuscì a calmare la fame.
- I teloni appesi al filo di ferro per delimitare la “stanza” d'ogni famiglia, col relativo pagliericcio appoggiato a terra, su cui dormire tutti, non solo di notte.
- Le chiacchiere e i sospiri delle donne, impegnate a tessere maglie di lana o a rammendare i vecchi calzini, a rappezzare abiti veramente pietosi, simili a carte geografiche, con paesi di vario colore.
Ad ogni ululato della sirena si spegneva il fuoco nel focolare posto a lato dell'entrata della grotta, ci si inoltrava nella cavità della montagna, aspettando di sentire quale tipo di ronzio solcava il cielo. Gli adulti distinguevano quello del Pippo dal rombo dei caccia o il frastuono delle “fortezze volanti”. Cessato il pericolo si tornava all'ozio pauroso di sempre. Le donne più anziane ad ogni fischiar di sirena intonavano il rosario, seminando il circondario di litanie, come fosse incenso.
A distanza di oltre settant'anni ancora ricordo bene quei momenti!”
“L'esperienza più tragica fu un'altra, al momento non riesco a collocarla in ordine temporale.
Mio padre sapeva saldare a stagno i tubi di piombo usati per l'acqua. Quel giorno il “Giamba” lo aveva chiamato per riparare quello che dalla vasca del “pozzetto” scendeva alle case. Facevo parte del gruppo, come osservatore, data l'età. Il tubo partiva dalla vasca, coperta in parte da una nicchia a volta, come si usava da noi, attraversava alcuni campi, per raggiungere le case più in basso. Mentre gli adulti erano al lavoro nel solco appena scavato la sirena iniziò ad ululare. Pochi istanti e da dietro il monte di “Carre”, nella gola di San Giacomo, spuntarono quattro fortezze volanti. Mio padre mi prese in braccio, con il Giamba e gli altri ci riparammo sotto la volta dentro la vasca. “Accidenti, Giamba, siamo fritti! Guarda quanti salami stanno scaricando!” Si vedeva chiaramente il grappolo di ordigni che danzava in cielo. “Cadranno su di noi. Prepariamoci al peggio, Luigi!” Sentivo il braccio rude di mio padre stringermi forte contro il suo petto. “Appoggiamoci al muro, Giamba, se evitiamo le bombe non sarà così per lo spostamento d'aria, quando esploderanno. A vederle sembrano indirizzate nel basso “rian de cascen” o forse verso “Ca de Badin”.

E' bastato attendere quegli interminabili secondi ed osservare l'evoluzione dei salami prima di comprendere l'effetto. Agli scoppi in rapida successione seguì una nuvola di polvere e fumo levarsi dalle case di Ca de Badin. Lo spostamento d'aria in parte ebbe modo di dissolversi nella distanza. La terra tremò come percossa dal terremoto. La volta resistette, mentre noi ricevemmo delle spinte contro i sassi. Non subimmo altri danni. Al diradarsi della nuvola seguì un silenzio tragico. Mezza contrada era stata rasa al suolo, colpita in pieno dalle bombe. Altri ordigni scoppiarono nella campagna limitrofa. La conta esatta dei morti non la ricordo. Noi restammo fermi nel pozzo, mentre le fortezze volanti, liberate dal peso, ripresero quota allontanandosi sopra il mare. La contraerea dal sito sopra Noli fece sentire la sua voce di morte che accompagnava quanto già fatto dalle bombe. La notizia del disastro si propagò rapidamente fra gli adulti. Molti corsero a prestare aiuto.
Quella visione mi seguì per anni nei sogni notturni. Lasciò una traccia indelebile nella memoria.
Altro fatto tragico di quel periodo avvenuto a Magnone superiore fu la morte della moglie di Latini Valentino, uccisa dai tedeschi; questi erano in cerca dei partigiani e rastrellavano casa per casa. Lei rincasò dal terrazzo chiudendo in fretta la porta, destando il sospetto che nascondesse qualcuno. Spararono a ripetizione. La donna morì sul colpo, lasciando il marito e i figli piccoli.
Per quanto riguarda il Pippo, esso ha continuato ancora a lungo a tormentare le giornate paesane, sino a quando la lotta di resistenza non entrò nel vivo.
Verso Voze e le Manie, ai Gatti, vi furono scontri fra le opposte fazioni in lotta. La presenza di militari tedeschi o “sanmarchi” in movimento veniva segnalata dalle donne con l'esposizione di lenzuola di vario colore sul davanzale delle finestre. Ogni colore aveva un significato nel codice di autodifesa.
Poi finalmente giunsero gli americani e la fine della guerra. Pippo smise di ronzare in cielo. I partigiani lasciarono le colline. In paese fecero la conta dei morti e dei dispersi. Alcuni tornarono dalla guerra distrutti nel fisico e nel morale, con l'obbligo di riprendere il duro fardello del vivere quotidiano, conservando rancori e sospetti verso i vicini, conosciuti come collaboratori del passato regime. Per quelli della mia generazione la guerra è un ricordo lontano. Per i ragazzi un “sentito dire” annacquato dal tempo, anche se sempre incombente in territori non lontani da noi.”
“Oggi il rombo dei reattori significa turismo, movimento, velocità di comunicazione. Ogni tanto capita di sentire e vedere volare esemplari che nel “miagolio” ricordano il famoso Pippo. Sono aerei leggeri da diporto. Soltanto il rumore conserva quel tragico messaggio di timore e morte che un tempo i veri Pippo incutevano e anticipavano.”
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