LE FORNACI DI CALCE

"Zia Maria" (o Benedetta 1871-1953) raccontava a noi bambini tanti episodi della sua infanzia.
Di famiglia genovese, trasferita a Spotorno prima che lei nascesse, era rimasta colpita dalla differenza di civiltà della sua famiglia e l' arretratezza in cui viveva parte della popolazione locale; l' aveva soprattutto impressionata la condizione, quasi di schiavitù di chi lavorava alle dipendenze dei ricchi.
Quante tristi cose aveva visto la bambina.
In paese quasi tutti avevano un pezzetto di terra, che forniva le patate e la verdura per la minestra giornaliera.
Unica fonte di lavoro retribuito erano le fornaci di calce; i proprietari dominavano il paese.
Mezza montagna è sparita sotto il piccone prima, in tempi più recenti sotto le mine.
Resta una brutta cicatrice che si è creduto nascondere dietro un paravento di orribili grattacieli.
Ciò che ricordava zia Maria risale al tempo "del piccone":le donne del paese uscivano ogni mattina a buio per andare a far legna nei boschi, tutto il paese ne era risvegliato, davanti ad ogni casa chiamavano le compagne: ai boschi, andavano in gruppo.
Al ritorno portavano le "fascine" alle fornaci e in pagamento ricevevano un pezzetto di carta con sopra segnato il prezzo, pezzetto di carta spendibile solo agli spacci convenzionati con i proprietari delle Fornaci.
La bambina, mandata qualche volta in bottega per acquisti. assistette così a scene dolorose, donne che inutilmente agli spacci convenzionati supplicavano il bottegaio a consegnare, con la merce acquistata, una minima parte dell' importo loro dovuto in danaro, per acquistare il sale, i fiammiferi, magari l' olio di ricino per il figliolo ammalato.
Un trauma per la piccola con un cuore più grande di lei.
Molti anni dopo, lessi "Germinal" di Émile Zola : dovetti constatare che gli stessi metodi erano praticati in Francia nelle miniere di carbone e fu una amara constatazione.

Il bene trova a stento poco spazio e in pochi cuori, il male dilaga e non conosce frontiere.

Lina Sbarbaro